Le 36 variazioni su "El Pueblo Unido Jamás Será Vencido!" (la celebre canzone di Sergio Ortega) sono uno dei capolavori della letteratura pianistica del tardo '900. Il grande maestro Frederic Rzewski riporta in scena questo caposaldo musicale il 4 dicembre a Milano.
Uno dei più grandi pianisti della nostra epoca, a quasi ottant'anni torna sul palco per raccontarci nuovamente la connessione fra la propria musica e le lotte politiche nel mondo. Le 36 variazioni, suonate per la prima volta in pubblico in America nel 1976, ricalcano l'inno che divenne in Cile e nel resto del mondo un simbolo della lotta per il ritorno alla democrazia.
Maestro, lei ha iniziato a suonare prestissimo. Cosa spinge un bambino di tre anni a sedersi a un pianoforte, dove non arriva neanche ai pedali?
Mia sorella, e anche mia madre. Eravamo americani sì, ma anche polacchi. Per i polacchi il pianoforte ha un significato particolare. Della musica il mio primo ricordo è il giradischi che suonava la "Danza delle Ore" di Ponchielli: indimenticabile.
Ora di anni ne ha quasi ottanta. In cosa cambia, col passare del tempo, il modo di vivere il pianoforte?
Rubinstein ha detto: "Ci sono molti giovani che suonano meglio di me!". Ma la differenza fra noi è che io ho anima.
Visto il tema, è caso fortuito e attualità la scomparsa di un altro dittatore, Fidel Castro. Ci sarà un ritorno alla democrazia, secondo lei?
Che cos'è la democrazia? Trump, forse?
Ha studiato due anni in Italia, nei primi anni sessanta. Che ricordi ha?
Tanti, ma ripenso sempre a un errore in particolare. Tra i tanti fatti, a quell'epoca fu quello di non mostrare il rispetto dovuto al mio grande maestro Luigi Dallapiccola. Per questo motivo mi ha giustamente mandato via.
Cinquant'anni fa dichiarò: "L'improvvisazione è l'anima della musica classica." Ci spiega perché?
Era l'epoca del free jazz e del movimento studentesco, e della fantasia di poter trasformare il mondo con l'improvvisazione, cioè con la magia. Confesso di essere stato sedotto anch'io da questa fantasia. Certo, nel periodo classico l'improvvisazione era il privilegio di pochi solisti. I musicisti erano servi, qualche volta anche battuti dal maestro. Lo stesso Haydn doveva portare la livrea. C'è però un grano di verità in questa frase: fantasia, preludio, ricerca. Tutti questi termini si riferiscono all'improvvisazione strumentale, da cui è nata la tradizione classica, liberata (almeno nel pensiero) dalle restrizioni rigidi del canto sacro. Il punto più alto di questo processo si trova nelle opere per pianoforte solo di Beethoven, dove improvvisazione e scrittura sono combinate in un' unità dialettica.
Il Maestro Frederic Rzewski sarà al Teatro Manzoni di Milano domenica 4 dicembre alle ore 11.